La voce dello Yemen
“Fare canestro nel barile davanti a me con le pietre non funziona, i brontolii della pancia si sentono comunque nonostante il tonfo secco del metallo colpito. Sono seduto nell’ingresso di casa da ormai cinque ore, e la mamma non è ancora tornata. È andata via con quegli uomini vestiti tutti uguali, con le tute bianche plasticose e le maschere trasparenti davanti alla faccia. Inizialmente pensavo fossero per non sentire la nostra puzza, anche se sanno benissimo che non abbiamo l’acqua per bere, figuriamoci se l’abbiamo per lavarci. Hanno anche cercato di convincere me e la mamma a metterla, dicendo che fosse essenziale per proteggerci da un nuovo mostro, qualcosa simile a COVIS, COVID. Non ho ben capito chi sia o come sia fatto. Quando ho provato a chiedergli di disegnarmelo, cosi se lo avessi visto gli sarei stato lontano, loro mi hanno sorriso e carezzato la guancia, sempre con quelle maschere e quei quanti di plastica addosso…evidentemente hanno anche paura di sporcarsi. Però, se ce lo avessero disegnato io e la mamma non lo avremmo mai fatto entrare in casa o lo avremmo evitato se incontrato per strada, anche se la mamma mi ripete sempre ogni giorno quanto sia importante aiutarsi l’un con l’altro. E forse, se lo avessero disegnato, la mamma non si sarebbe ammalata, non avrebbe smesso di respirare bene e non le sarebbe venuta la febbre…e non la avrebbero portata via da me. Ma comunque io quella maschera non la metto; Assam, il mio migliore amico, dice che sembro scemo, e poi non riesco a respirarci quando gioco a calcio. E credo di aver capito chi è COVID, o come si chiama…è sicuramente quel ragazzo che mamma l’altro giorno ha fatto entrare in casa per curargli il braccio amputato dalla bomba. Aveva una faccia strana e neanche lui respirava bene…gli starò lontano d’ora in poi.
Non sono persone cattive quelli vestiti di bianco, anche se hanno portato via mamma. Forse, se non fossero così schizzinosi, li avrei anche potuti invitare qualche sera a cena da noi…o forse no. Avrei dovuto cedere loro la mia piccola porzione di cibo e sono sicuro che non gli sarebbe neanche bastata. Il mio stomaco ormai è forte ed è abituato a poco, ma loro sembrano avere delle pance belle grosse e affamate. E poi credo che la mamma si sarebbe vergognata a farli mangiare in una sala senza tetto…ma non è colpa sua. Dopo che papà è morto, non riusciamo a rimontare il tetto ogni volta che le bombe lo buttano giù o i proiettili lo bucano. E poi come dice mamma, cosi si vedono meglio le stelle. E tanto difficilmente piove…
I brontolii stanno aumentando…speravo che gli uomini vestiti di bianco fossero venuti a portarci una di quelle scatole con il cibo dentro. E invece hanno portato via la mamma, dicono per curarla…e tanto ultimamente nelle scatola non c’è granché. Qualche anno fa, mi ricordo, ci trovavo spesso una palla, una felpa nuova o dei quaderni e delle matite. Questi ultimi non mi entusiasmavano granché, ma almeno erano utili a fare gli aereoplanini con Assam. Vincevo sempre nelle gare a chi lo faceva volare più lontano.
Uffa, manco pensare aiuta…la fame rimane e aumenta. Potrei quasi mettermi a spazzare e pulire casa, così mamma è contenta quando torna…ma tra poco secondo me riiniziano a bombardare e sparare. Il silenzio e la calma stanno durando ormai da troppo.
Ehi, sono tornati gli uomini in bianco! Come sono buffi quando camminano con quelle tute addosso…la mamma però non la vedo, strano. E stranamente sembra non stiano neanche sorridendo, nonostante sia difficile capirlo con le maschere addosso. Solitamente quando vengono, arrivano con il sorriso, dicono che la gioia e l’amore siano le uniche armi da usare. Evidentemente non si guardano bene intorno; le uniche armi che conosco io, sono nere, pesanti, rumorose e soprattutto vere. E fanno male.
Eppure a guardarli, mi ricordano la mamma quando era venuta a dirmi che papà era morto…”
Quante volte Amnesty international, Medici senza frontiere, Oxfam,…hanno lanciato un grido d’allarme alle nazioni, quante volte hanno chiesto aiuto, ormai piegati dalla mancanza di risorse, quante volte hanno cercato di commuoverci per suscitare un qualche sentimento di solidarietà attraverso campagne pubblicitarie, dati e statistiche di malattie e decessi. Quante volte hanno sputato la verità sui giornali, sugli schermi, di fronte a chi ha il potere. E quante volte sono rimasti inascoltati. Ma ormai lo Yemen non ce la fa più; stremato da una guerra civile che continua ancora oggi dal 2015, dalla fame, dalla carestia e ora anche dal COVID. Manca l’acqua, manca il cibo, manca un tetto, manca la mascherina e il respiratore, manca ormai la speranza. Gli aiuti che arrivano dai vari stati non sono sufficienti, e nonostante questo sia chiaramente fatto noto da chi là, in loco, cerca di combattere questa tremenda battaglia, i sussidi non aumentano. Rimaniamo inerti, quasi indifferenti, di fronte a questa e a mille altre ingiustizie, che sinceramente oggi, nel 2021, non dovrebbero neanche più esistere. Siamo troppo concentrati a lottare da soli contro una epidemia che invece è globale. E non sappiamo guardare oltre i nostri confini nazionali, oltre la nostra, nonostante tutto, condizione di privilegiati. Come Quirico, “Mi chiedo: perché da questa parte del mondo, la nostra, non riusciamo più a provare compassione verso quell’altra parte di noi, i sofferenti, i vinti, tutti gli uomini che scomodamente ci troviamo di fronte sui giornali, in televisione, su internet? Come se avessimo due sangui diversi.”
Il 25 gennaio è la giornata mondiale della mobilitazione per lo Yemen, per dire basta alla guerra, per dire si agli aiuti. Che questo possa essere un nuovo inizio, che possa significare un vero cambiamento per un paese che, ormai, rischia di sparire sotto le macerie, dimenticato da tutti.