Sport ed interculturalità: binomio inscindibile
I nostri tempi ci vedono travolti da uno spettro di informazioni, spesso contraddittorie. Le parole “V-day”, “pandemia globale”, “distanziamento sociale”, e molte altre ci sommergono in un quotidiano che sembra quasi una simulazione di un universo parallelo.
Eppure, fra questo accavallarsi di notizie, trova spazio anche qualcosa che è sempre stato a cuore a noi tutti, amanti dello sport e non, un qualcosa di così antico e radicato nella nostra cultura da risultare indubbiamente di largo interesse sociale.
Stiamo parlando dei Giochi Olimpici, che si sarebbero dovuti tenere a Tokyo nel 2020, ma che sono slittati a causa dell’emergenza sanitaria che ha sconvolto il nostro pianeta.
Resta l’interrogativo: A quando, concretamente, verrebbero rinviati?
A rompere questo silenzio, ci ha ben pensato il noto giornale londinese, “Times”, che parlerebbe di cancellazione totale delle Olimpiadi, con posticipo addirittura al 2032. Gli allarmi in merito ad un annullamento iniziano proprio a gennaio 2021, quando il governo giapponese ha posto Tokyo e altre prefetture in stato di emergenza per contrastare un’ondata di casi di Covid-19 in preoccupante aumento.
Le ulteriori ipotesi al vaglio, come dichiarato dalla grande testata, riguardano un probabile rinvio delle Olimpiadi al 2024 a Parigi e l’edizione 2028 a Los Angeles. Tuttavia, l’idea che Tokyo possa attendere un decennio per allestire i Giochi, parrebbe improbabile. Non si può non tenere conto di inderogabili impegni: il costo per mantenere le sedi, negoziare nuovi contratti di locazione, nonché i 25 miliardi di dollari già investiti dalla capitale giapponese nell’organizzazione.
L’articolo ha immediatamente scatenato la reazione del governo giapponese. Il presidente del Comitato Olimpico, Thomas Bach, in una intervista all’agenzia giapponese “Kyodo”, aveva ribadito che le Olimpiadi si sarebbero svolte come da programma e che non esisteva “un piano B”. Infatti, fissava la data della cerimonia inaugurale al 23 di luglio 2021. A tal riguardo, Bach così dichiara: “la situazione di marzo 2021 non sarà paragonabile a quella di marzo 2020 perché c’è stato un grande progresso scientifico, medico, vaccinale […].”
Ci chiediamo pertanto, come mai tali notizie, apparentemente “secondarie”, creino un così grande scalpore, in una situazione critica come quella che stiamo affrontando? E ancora, perché il governo giapponese propone iniziative inaspettate pur di celebrare le Olimpiadi?
In realtà, nessuno si assumerebbe il rischio di “rinchiudere gli atleti in stanze di Hotel un mese prima” o “pianificare il tutto a porte chiuse”, se la causa non fosse davvero di rilievo.
I Giochi olimpionici, infatti, sono innanzitutto un fenomeno culturale. Sono eventi in cui la diversità, l’interculturalità, il mix di usi e costumi profondamente opposti, trionfa.
Un trionfo di colori, di bandiere, di idee e modi di vivere, che dialogano uniti dal “fil rouge” dell’amore per lo sport.
Già dal 776 a.C., ad Olimpia, in Grecia, gli atleti erano accumunati da voglia di sana competizione, di incontro e confronto.
In un turbinio di emozioni, quali rispetto, disciplina, impegno ed integrazione dell’altro, le Olimpiadi declinano anche una serie di avvenimenti storici, che hanno segnato, in maniera indelebile, l’evoluzione sociale, promuovendo ideali di pace e libertà.
Esempio illustre? Città del Messico, anno 1968. Le note di “The Star-Spangled Banner” risuonano nello stadio, gli atleti di colore Smith e Carlos in segno di protesta contro la segregazione razziale, abbassano la testa e alzano un pugno chiuso, indossando guanti neri. A decine di metri di distanza, il fotografo John Dominis scatta loro una foto, che sarebbe presto divenuta il manifesto di un decennio di lotte per i diritti civili dei neri.
Le Olimpiadi non sono dunque soltanto un mero investimento di denaro pubblico, una celebrazione organizzata a tavolino. I giochi olimpici, così come lo sport, sono l’aggettivazione stessa di “diversità”, di “gioco di squadra”. Ecco, quindi, il motivo per cui ci stanno tanto a cuore e per cui non possiamo farne a meno.