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Diventiamo i loro angeli custodi

Made in China. Made in Bangladesh. Made in Vietnam. Made in Italy. Made in Pakistan. 

Quante volte abbiamo comprato una felpa, un paio di pantaloni o un vestito facendo caso al luogo di provenienza? Quante volte abbiamo fatto un acquisto scegliendo il più economico tra tutte le alternative, felici poi di aver risparmiato quelle due monete utili a comprare un caffè o una merendina in più alle macchinette della scuola, stufi del toast salutare o della mela sbucciata dalla mamma? Quante volte abbiamo preferito un capo straniero, prodotto chissà dove, rispetto ad uno di provenienza certa, magari derivante da un mercato equo e solidale? Quante volte siamo passati davanti ai negozi di merce locale, prodotti artigianalmente, e ci siamo infilati a capofitto, scontrandoci con la miriade di persone come noi, nei grande store di catene famose?

E se sulle etichette scrivessero anche Made by Hassan, made by Sarah, made by Juan? Se scrivessero tutti i nomi dei bambini che da troppo tempo si trovano a lavorare troppe ore in fabbriche, industrie tessili, campi di cotone, o persino in strada a riciclare rifiuti e a pulire marciapiedi? Da troppo tempo le loro mani lavorano per soddisfare le nostre continue esigenze, o meglio, i nostri continui capricci, invece di essere sporche di inchiostro di penna per scrivere temi, o del fango del pallone da calcio, finito nella solita pozzanghera del campetto del quartiere. Lavorano perché costretti dalla necessità di portare a casa uno stipendio in più, per poter comprare quel tocco di pane che gli permette di sopravvivere ancora un giorno. Lavorano perché il lavoro dei genitori non basta, lavorano perché non possono permettersi di andare a scuola.

Lavorano perché non hanno alternative. 

168 milioni di bambini nel 2012 erano sottoposti a sfruttamento. 152 milioni nel 2016. Altre stime sostengono che oltre 200 milioni di bambini sono impiegati in lavori pericolosi. 

L’UNICEF è una delle tante organizzazioni che da anni si batte per cambiare la situazione, diffondendo dati, grazie anche all’aiuto dell’OIL, organizzazione internazionale del lavoro, attraverso campagne pubblicitarie ed appelli. I numeri sono sicuramente diminuiti ma ancora troppi bambini sono sfruttati. E noi, attraverso le nostre azioni quotidiane, attraverso le nostre più piccole scelte giornaliere, contribuiamo a questi abusi. Nonostante spesso ai tavoli internazionali e ai congressi europei si sia dibattuto circa la necessità di abolire una volta per tutte lo sfruttamento minorile, agendo nel concreto, poco è stato davvero fatto. Ciò a testimoniare la storica distanza tra teoria, documenti e pratica, azione reale, uno dei più grandi difetti umani. 

È arrivato il momento di dare una alternativa ed una seconda possibilità a questi bambini e ragazzi, è arrivato il momento di permettergli di studiare, di accedere ai vari gradi dell’istruzione così come è permesso alla maggior parte di noi ragazzi. Il paradosso? Noi, giovani fortunati, agiati nelle nostre comode case, che al massimo ci troviamo a dare ripetizioni o a fare  camerieri durante l’estate, sogniamo ogni giorno di poter smettere di studiare, malediciamo gli insegnanti, preghiamo che la scuola chiuda. Tutto pur di non studiare. E come sempre non ci rendiamo conto di quanto abbiamo, del fatto che la nostra vita, che per noi è così reale e concreta, non è altro che il sogno di un bambino dall’altra parte del mondo. 

“ Caro angelo custode, spero tu esista. Ho le mani che fanno male, i tagli non riescono a guarire, si continuano ad aprire. Il sapone che uso tutti i giorni in fabbrica mi brucia e mi ha fatto venire delle macchie rosse sulla pelle. E poi, ho anche male alle ginocchia. Sto troppo tempo inginocchiato. Non ci vogliono dare sedie né cuscini, ci fanno stare così per terra, in mezzo alla ghiaia, a lavorare la stoffa per fare dei vestiti. E poi ora è anche più noioso, perché il mio amico, che prima lavorava come me tutti i giorni, è riuscito ad andare a scuola. I suoi genitori sono riusciti a pagargli i quaderni  e la divisa, e tutte le mattina lui va là, con altri ragazzi a studiare e imparare tante cose. Ieri l’ho incontrato, mi ha detto che ha imparato a scrivere il suo nome. Ha detto che poi mi insegna a scrivere il mio, magari la sera, dopo cena, perché prima lavoro. Ieri ho chiesto alla mamma se posso anche io andare a scuola, almeno se studio e divento più bravo, magari da grande posso partire e andare fuori dal nostro paese per imparare ancora più cose, diventare ricco, e poi tornare qui e prendere con me mamma e papà e portarli via. Gli farò tanti regali, e vivremo in una casa più grande, fatta di mattoni veri, non di fango, e non dovranno più lavorare. E neanche i miei figli dovranno lavorare, perché voglio anche io una famiglia bella numerosa come la mia. La mamma ha detto che lei e papà ora non riescono, non hanno abbastanza soldi, ma che ci proveranno. Al momento, mi ha detto la mamma, l’unica cosa che posso fare, è scrivere a te e sognare tanto. Sognare lo faccio sempre; mi vedo spesso andare a scuola con altri bambini, imparare a contare, scrivere e leggere. Poi mi vedo prendere una nave o un aereo, e volare via. Mi vedo avere una famiglia grande e avere una vita molto più bella di questa, lontana dalle fabbriche e dai campi. Però, visto che sognare non ha ancora portato a niente, provo a scrivere te. Se neanche te puoi fare niente ora, fallo magri in futuro, per altri bambini. Non voglio che altri ragazzi come me debbano fare la mia stessa vita. Nessuno dovrebbe viverla. 

Spero di non averti disturbato, e soprattutto spero tu esista”

-Arianna Amodio

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